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Saman Abbas, sì del giudice pakistano all’estradizione del padre: è lui il presunto assassino

Ora Shabbar Abbas potrà fare appello all'Alta Corte di Islamabad

Il magistrato giudicante della corte distrettuale di Islamabad ha espresso parere favorevole all'estradizione di Shabbar Abbas, il padre di Saman, la 18enne morta a Novellara e che secondo la Procura di Reggio Emilia è stata uccisa dal genitore e da altri quattro familiari. Il giudice, secondo quanto si apprende, ha respinto l'ulteriore istanza di rilascio su cauzione della difesa. Ora Abbas potrà impugnare il documento alla Alta Corte di Islamabad. All'appello però manca ancora il parere più importante: quello del governo, non essendoci accordi bilaterali fra Italia e Pakistan. L'udienza si è svolta questa mattina a Islamabad.

Il magistrato ha disposto che Shabbar rimanga a disposizione delle autorità Italiane nel carcere di Adyala per il collegamento in videoconferenza con le udienze in corso in Italia, (il dibattimento riprenderà il 14 luglio) in attesa della decisione finale da parte del Gabinetto del Ministro sulla richiesta di estradizione formulata dall'Italia.

Shabbar Abbas è imputato nel processo in corso a Reggio Emilia davanti alla corte d'Assise per l'omicidio della figlia 18enne Saman, assieme alla moglie Nazia (ancora latitante), allo zio Danish Hasnain e ai due cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq. Shabbar ha sempre negato il suo coinvolgimento nella morte della figlia. In questa fase si stanno sentendo i testimoni di parte civile, poi toccherà a quelli delle difese. La scorsa settimana, in udienza, è stata ascoltata una assistente sociale che ha parlato dello stato d'animo del fratello di Saman, da poco maggiorenne, durante tutta la vicenda. «Il fratello di Saman voleva cambiare nome e cognome», ha detto. «Quando fu arrestato il padre Shabbar, disse che era giusto perché doveva rispondere di ciò che ha fatto - ha continuato in aula l'assistente sociale che segue il fratello da tre anni -. È ancora arrabbiato con lui, mentre ha parlato della madre come di una vittima di questa situazione».

Inoltre sulla fuga con lo zio Danish Hasnain verso la Francia, nei giorni successivi al delitto, quando venne fermato a Ventimiglia dalla polizia e portato poi, in quanto minorenne, in una struttura protetta «disse che seguì lo zio perché gli furono promessi festeggiamenti dopo il Ramadan», ha riferito l'assistente. Infine, la stessa ha parlato delle pressioni dei genitori al figlio: «In alcune telefonate gli avevano detto di tornare in Pakistan e di ritrattare su quanto detto agli inquirenti (aveva descritto il padre come un violento, ndr)».

Pubblicato su Corriere delle Alpi