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La strana morte in carcere a Parigi di una mamma napoletana: per i francesi si sarebbe tolta la vita, i parenti chiedono la verità

Gilda Ammendola, 32enne di Portici, è deceduta nel carcere di Fleyry-Mèrogis. Poco prima aveva fatto sapere ai famigliari di inviarle effetti personali

Una prima telefonata per chiedere l’invio di un pacco contenente abiti e pochi altri effetti personali, ché non c’era certezza sulla durata della reclusione in carcere. Poche ore dopo un’altra telefonata per comunicare la più drammatica delle notizie: di quel pacco non vi era più bisogno, chi avrebbe dovuto riceverlo si era tolto la vita.

E’ giallo sulla morte di Gilda Ammendola, la 32enne di Portici deceduta nel carcere di Fleyry-Mèrogis a Parigi. La procura di Roma ha aperto un’inchiesta a seguito dell’esposto presentato dall’avvocato Domenico Scarpone su input dei parenti della donna. Unica via, quella dell’esposto, per superare i muri procedurali francesi: alla famiglia di Gilda non è stato consentito né di vedere il corpo né tantomeno di partecipare, mediante un loro perito, all’autopsia svolta a Parigi.

Chiamando in causa gli inquirenti italiani, invece, si apre un doppio binario di indagine che permetterà agli Ammendola di seguire da vicino la ricerca della verità. Una verità che ad oggi ha pochi punti fermi. Madre di una bambina di 8 anni, Gilda viene arrestata il 21 gennaio. Il giorno seguente la famiglia della donna riceve una telefonata da un funzionario del carcere che li informa di una richiesta fatta proprio da Gilda: la 32enne chiede alcuni effetti personali. Terminata la telefonata, i parenti della donna raccolgono le cose necessarie e si attivano per il trasferimento a Parigi del pacco. Poche ore dopo, però ricevono una nuova telefonata dal carcere. E’ sempre un funzionario, ma stavolta il contenuto dell’informazione è drammatico: Gilda Ammendola si è tolta la vita, impiccandosi. I familiari della 32enne restano sgomenti. «Per quale ragione una persona che pensa di suicidarsi chiederebbe effetti personali necessari ad affrontare le giornate in prigione?», si domandano. Da Parigi poi non arrivano risposte. Lì ci sono procedure diverse e la famiglia di Gilda è sostanzialmente tagliata fuori. La giustizia italiana resta l’ultima spiaggia. L’avvocato Scarpone chiama in causa la procura di Roma e parte un’indagine parallela. Già disposta l’autopsia che si sarebbe dovuta tenere ieri ma, per motivi tecnici, è stata rinviata a martedì prossimo. Il pubblico ministero Eugenio Albamonte, titolare del fascicolo, ha nominato il professore Luigi Cipolloni, che fece parte del pool medico-legale incaricato dalla procura del caso Cucchi, per eseguire l’esame autoptico. E’ il primo step per capire se nella morte di Gilda Ammendola ci sono zone d’ombra.

Pubblicato su Corriere delle Alpi