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Nagorno-Karabakh: esplosione e strage in un deposito di carburante, almeno 170 morti. Continua l’esodo verso l’Armenia

Oltre 85 mila profughi hanno lasciato l’autoproclamata repubblica. Le origini del Paese, la vicinanza alla Russia, la lunga fuga

Almeno 170 persone sarebbero morte nell'esplosione, lunedì scorso, di un deposito di carburante vicino a Stepanakert, nel Nagorno-Karabakh. Lo riporta Ria Novosti citando un post sui social media dei dei soccorritori locali. «I lavori sul luogo dell'esplosione continuano - spiegano - a oggi sono stati scoperti resti e frammenti di almeno 170 corpi che sono stati trasferiti all'ufficio per gli esami medici forensi. Saranno quindi trasportati in Armenia per l'identificazione attraverso l'analisi del Dna». Ignote per ora le cause dell’esplosione.

Intanto, continua l’esodo dal Nagorno-Karabakh, dopo la fine della repubblica e l’arresto del leader del governo separatista da parte degli azeri. Il governo armeno afferma che sono oltre 85.000 i profughi arrivati in Armenia dal Nagorno-Karabakh. La popolazione, che è prevalentemente cristiana, sta lasciando i territori nell’Azerbaigian per trasferirsi in Armeina. «Attualmente, 84.770 sfollati sono arrivati in Armenia dal Nagorno-Karabakh», ha detto Nazeli Baghdasaryan, portavoce del premier armeno. Secondo i dati ufficiali, nel Nagorno-Karabakh vivono circa 120.000 armeni. Dopo l'offensiva militare e il cessate il fuoco mediato da Mosca, l'Azerbaigian sta prendendo il controllo della regione separatista del Nagorno-Karabakh, abitata prevalentemente da armeni, e migliaia e migliaia di armeni stanno abbandonando le loro case nel timore di rappresaglie.

L'Alto commissario Onu per i rifugiati esprime «profonda preoccupazione» riguardo il crescente numero di rifugiati che stanno scappando dal Nagorno-Karabakh in Armenia. «Lunghe code sono registrate al confine», ha dichiarato Stephane Dujarric, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite. L'Alto commissario, Filippo Grandi, ha annunciato l'invio di convogli con aiuti umanitari. Sui rifugiati pende anche il problema delle condizioni meteorologiche: la temperatura sta scendendo e mancano le strutture di accoglienza.

«Qualsiasi aggressione ai danni dei civili è inaccettabile – sottolinea Alistair Dutton, segretario generale di Caritas Internationalis – Coloro che fuggono da questa crisi devono ricevere assistenza umanitaria. La protezione degli sfollati deve essere assicurata e i loro diritti, inclusi quelli di un passaggio sicuro e della libertà di movimento, devono essere pienamente rispettati. Le persone devono essere libere di rimanere nelle proprie case e chi è fuggito deve poter tornare se lo desidera». Caritas Armena è presente nella regione al confine meridionale, dove gli sfollati stanno entrando in Armenia, così come in altre quattro regioni del Paese e nella capitale Yerevan. Si stanno mobilitando anche le varie Caritas d’Europa, raccogliendo fondi e aiuti.

Come è nato il Nagorno-Karabakh

L'annuncio del prossimo scioglimento dell'autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh chiude in modo drammatico un capitolo che si era aperto più di trent'anni fa. Piccola regione montagnosa di 4500 chilometri quadrati nel Caucaso meridionale, il Nagorno-Karabakh era una enclave etnicamente e culturalmente armena all'interno dell'Azerbaigian. Ma ora, la maggioranza dei 120mila armeni che vi abitavano, sta abbandonando le proprie case per rifugiarsi nella vicina Armenia. Il conflitto risale al 1988, quando il governo locale del Nagorno chiese di passare dalla repubblica sovietica dell'Azerbaigian a quella, sempre sovietica, dell'Armenia. Allora vi furono scontri fra milizie etniche, che un intervento di forze sovietiche non riuscì a risolvere. Con la dissoluzione dell'Urss nel 1991, scoppiò una vera e propria guerra fra Armenia e Azerbaigian, che causò almeno 30mila morti prima di arrivare ad un cessate il fuoco nel 1994, ottenuto grazie ad un accordo mediato dalla Russia e dall'Osce. Il Nagorno-Karabakh aveva intanto proclamato un governo autonomo, la repubblica di Artsakh, con capitale Stepanakert, che però non è mai stata riconosciuta a livello internazionale, mentre l'Onu continuava a ritenere la regione parte dell'Azerbaigian. Ora la dissoluzione, con l’arresto del leader separatista e la fuga di massa della popolazione.

La ripresa del conflitto e la dipendenza dalla Russia

Il conflitto era rimasto a lungo congelato con periodiche riprese della tensione e violazioni del cessate il fuoco. Ma nel frattempo l'Azerbaigian, arricchitosi con la vendita di petrolio e gas, si è riarmato. E ha lanciato una nuova guerra il 27 settembre 2020. Questa volta ha prevalso Baku e il conflitto, terminato dopo 44 giorni grazie ad una mediazione russa, ha portato l'Azerbaigian ad appropriarsi di 150 km quadrati di territorio armeno. Paese musulmano, l'Azerbaigian è sostenuto dalla Turchia al quale è affine culturalmente e linguisticamente. L'Armenia di religione cristiana era appoggiata dalla Russia, che aveva garantito l'ultimo cessate il fuoco del 2020. Ma con l'invasione dell'Ucraina, Mosca ha trascurato l'Armenia mentre si aggravava la crisi del corridoio di Lachin, unica via d'accesso fra Armenia e Nagorno Karabakh. Le forze di peacekeeping russe non hanno impedito a Baku di bloccare l'accesso al corridoio, importante per il rifornimento di beni essenziali nell'enclave. E Erevan ha cominciato a considerare un errore la propria dipendenza dalla Russia in materia di sicurezza, tanto che nei giorni scorsi aveva partecipato per la prima volta ad esercitazioni militari congiunte con gli americani. Lo scorso 19 settembre, l'intervento armato di Baku ha messo fine alla repubblica autonoma. Ieri, giovedì 28 settembre, Samvel Shahramanyan, presidente del Nagorno Karabakh eletto lo scorso 10 settembre, ha firmato un decreto per lo scioglimento della Repubblica separatista a partire dal primo gennaio 2024.

Pubblicato su Corriere delle Alpi