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“I miei 31 anni con Miriam in coma”

In stato vegetativo dal ’91, è morta in ospedale. Il marito Angelo: »L’ho amata anche così, non ho mai smesso di prendermi cura di lei»

Avere vent’anni. Incontrare una donna all’interno di una discoteca. Capire che sia la più bella che tu abbia mai visto. Farsi forza per rivolgerle la parola e ottenere un appuntamento. Innamorarsene perdutamente. Fidanzarsi. Sposarla. Salutarla alla mattina della vigilia del secondo Natale che passerete insieme da marito e moglie, prima che entrambi andiate a lavorare. Ritrovarla qualche ora dopo in un letto d’ospedale. Sentire che i pompieri hanno dovuto estrarla dalle lamiere. Il problema è stato il ghiaccio sulla careggiata, ha perso il controllo e colpito un palo. Sentire la diagnosi: «Grave lesione occipitale. Fratture multiple sul lato destro». Ascoltare il primario che dice: «Non supererà la notte». Avere 26 anni. Fregarsene di ciò che pensa il primario. Restare lì fino all’alba del 25 dicembre 1991 e da quel giorno in avanti mettere in pratica quella che per Angelo Farina è l’interpretazione della parte del giuramento che recita «nella buona e nella cattiva sorte»: stare accanto a Miriam per tutti i 31 anni e 5 mesi successivi. E allora gestirne le cure e i trasferimenti da una clinica all’altra. Mettere nello stereo i pezzi pop che a lei piacciono e a te no. Innamorarsi ancora. Avere dei figli. Restare sposato con Miriam nonostante tutto. Raccontarle i fatti di una vita che tu stai vivendo e che attorno a lei scorre, mentre il coma la tiene immobile e muta. Avere 58 anni. Ascoltare un altro primario, che ti dice che è morta. Seppellirla, oggi, sentendo «che finalmente ha avuto pace per la sua ingiustizia». Pensare di non aver sprecato un solo minuto, perché, «soprattutto, l’accarezzavo».

Signor Farina, come ha trovato la forza per passare tutto questo tempo al capezzale di sua moglie?

«Innanzitutto, non ero solo. C’erano anche sua madre e le sue sorelle. Insieme, non abbiamo mai smesso di prenderci cura di Miriam. Anzi, il loro sacrificio è stato anche più grande, perché dovevano venire da Treviso. Io sono di Cassola, Bassano del Grappa, Vicenza. Ho sempre abitato e lavorato vicino agli ospedali in cui è stata ricoverata. Non era un problema andarla a trovare un paio di volte al giorno».

È andato a visitare sua moglie in coma tutti i giorni, due volte al giorno, per 32 anni?

«Finché ho potuto, sì. Poi il Covid ha bloccato gli incontri e ho ripreso andandoci un paio di volte a settimana. Ma con la sua famiglia ci organizzavamo in turni e non è mai rimasta sola».

Che cosa faceva durante le visite?

«Soprattutto, l’accarezzavo. Fin da subito ci è stato detto che la cosa migliore era farle sentire la nostra presenza e io sono sicuro che l’ha sentita. Le mettevo le sue canzoni preferite. Musica pop. Io francamente ascolto altro, ma a lei piaceva. Poi le raccontavo cosa mi era successo in giornata, fatti quotidiani».

La sua convinzione non ha mai vacillato?

«Quando l’ho sposata le ho giurato di restarle accanto nella buona e nella cattiva sorte e ho cercato di farlo. Non è stato un peso, perché l’amavo. Anche se, in tutta onestà, non si è trattato solo di questo. Non ho mai accettato quello che le era accaduto. Anzi, non lo accetto nemmeno ora. Non se lo meritava, è stata un’ingiustizia. Aveva avuto un’infanzia difficile. L’ho sposata perché ero perdutamente innamorato di lei, ma dentro di me volevo anche farla sentire al sicuro. Darle la casa tranquilla che non aveva mai avuto».

Ricorda il giorno dell’incidente?

«Ha letto i giornali? È tutto scritto lì. Era la vigilia di Natale del 1991. Ci eravamo sposati a giugno dell’anno prima. Miriam faceva l’impiegata. Perse il controllo della macchina mentre andava al lavoro, uscì di strada per colpa del ghiaccio e colpì un palo. I Vigili del Fuoco l’estrassero viva, ma in ospedale mi dissero che non avrebbe superato la notte. Non ha mai ripreso conoscenza, ma ha vissuto molto più a lungo di quanto credevano».

Non si è mai reinnamorato in tutto questo tempo?

«Non ho mai voluto che il nostro matrimonio fosse annullato dalla Sacra Rota, anche se molti me lo dicevano. Comunque, sì, dopo molti anni ho conosciuto un’altra donna e abbiamo formato una famiglia».

Ricorda come ha conosciuto Miriam?

«Al Kiwi di Mussolente. Una discoteca qui vicino. Guardi la foto. Visto che bambolina? La donna più bella che avessi mai visto. Dovevo andarle a parlare a ogni costo e per fortuna mi lasciò fare».

Avevate progetti quando vi siete sposati? È riuscito a realizzarli e a raccontarli a Miriam?

«Avevamo tanti progetti. Io ero socio in un’azienda che produce e vende materassi. Volevamo costruirci un futuro insieme come una coppia qualsiasi. L’unico progetto a cui Miriam teneva veramente, però, non gliel’ho potuto raccontare. Voleva avere dei figli».

Ha mai creduto che ciò che faceva fosse inutile?

«Soprattutto i primi anni, ho avuto dei momenti di grave sconforto. Ma glielo dovevo. Lo dovevo a entrambi. Guardandomi indietro, sono convinto di non aver perso il mio tempo e spero che lei non pensi di aver perso il suo».

Crede che la sua morte l’aiuterà a fare pace con questa frustrazione?

«Lo spero. Anzi, sono sicuro di sì. Ho cercato di darle amore mentre era viva, ora meritava la libertà. Oggi la saluterò al suo funerale e andrò a dormire cercando di non serbare più rancore e accettare il destino. Domani vi dirò se ci sono riuscito».

Pubblicato su Corriere delle Alpi